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Cos'è la Solitudine?La solitudine è un sentimento interiore che induce la persona a sentirsi separata dal prossimo pur stando con gli altri, in perfetta interazione con l'isolamento spaziotemporale. Solitudine e isolamento inducono ad un sentimento comune di insicurezza, depressione, autosvalutazione, nostalgia del passato, paura, senso di indegnità. La solitudine appartiene al mondo interno, l'isolamento al mondo esterno, entrambe fanno parte di una costellazione di emozioni soggettive. Cartesio pensava che l'individuo nascesse come essere isolato che entrava in relazione con l'altro gradualmente, costruendo progressivamente relazioni sempre più adeguate. Freud, Werner e Piaget aderiscono pienamente alle sue idee, soltanto con Bowlby s'introduce nella psicologia e nella filosofia il concetto di bisogno innato, archetipico, di relazione con il mondo esterno. Le ricerche cognitive, in seguito, hanno sviluppato la stretta correlazione dinamica tra mondo interno e mondo esterno, tra dimensione biologica e dimensione sociale. Nel superare la nascente dicotomia, l'essere umano è attualmente visto nella sua totalità biopsichica-sociale. In quest'ottica la solitudine non è soltanto frutto di un sentimento individuale, la sua qualità e intensità è anche correlata direttamente ai rapporti interpersonali o particolari fasi della vita. Se chiediamo ai bambini della scuola materna "cos'è la solitudine?" le risposte sono: "quando la mamma è arrabbiata", "quando mi sgridano perché sono cattivo". Ciò implica un sentimento interiore che coincide con una situazione esteriore. Al quesito "cos'è la solitudine?", anche gli adulti denunciano un disagio profondo che si instaura in coincidenza di situazioni esteriori: "non poter condividere con nessuno i propri sentimenti ed emozioni", "nessuno si accorge di me", "se faccio qualcosa di diverso sono criticato", "nessuno mi pensa e si preoccupa di me", "nessuno mi aiuta a risolvere i miei problemi", "non essere amati", "non potersi dedicare a nessuno", "non riuscire ad amare". Nella individuale percezione di solitudine l'altro ed il mondo circostante sono sempre presenti. Potremmo sintetizzare che in generale l'essere umano si sente di esistere e di contare qualcosa solo se riesce a stabilire buone relazioni, se in esse si sente riconosciuto, rispettato, amato nella sua globalità. Il grado di sentimento di solitudine è sempre personale, può essere transitorio o perenne, può essere distruttivo come costruttivo, può essere isolamento spazio-temporale, isolamento emotivo, isolamento libero con il preciso desiderio di rilassarsi, stare nella quiete, nella propria intimità per riflettere e meditare, per costruire creativamente, per studiare. Da dove nasce la qualità e la quantità emozionale della solitudine? Indagando sempre più a fondo nei seminari esperenziali ho potuto lentamente arrivare al nucleo più profondo. Nel seminario sul tema Paura dell'invidia emergeva il grande timore di essere emarginati e di rimanere soli. Ne derivava un bisogno di autolimitazione dei propri potenziali per evitare l'invidia dei propri congiunti, amici e colleghi. Il bisogno di adeguarsi agli altri per sentirsi accettati e avere una compagnia sicura, è più impellente del desiderio di autorealizzazione. La paura di restare soli ed emarginati per avere suscitato invidia riduce il respiro, blocca gambe e braccia. L'energia contratta si traduce in sintomo oppure in difficoltà lavorative o relazionali. Nel seminario L'insostenibile colpa della felicità, si evidenziava il tentativo di autocastrazione sentimentale pur di allinearsi alle sfortune affettive delle amiche e delle figure significative familiari. Il timore della solitudine era tale che la ricerca di adeguamento alle situazioni circostanti distruggeva la realizzazione di un sogno d'amore. Il paradosso dell'autocastrazione, indotta dal timore di rischiare la solitudine, la constatai nel seminario esperenziale Osare un desiderio. I presenti non riuscivano a formulare nessun desiderio, ad esprimerlo in modo sintetico, a visualizzarlo; il senso di colpa inconscio, il timore di differenziarsi dal nucleo familiare ed amicale, produceva in loro confusione, contrazione negli occhi, nella mascella, nelle braccia. Conseguenzialmente si bloccava anche il bacino e si congelavano i piedi. Per curiosità proposi a variegati gruppi di amici, il gioco dei desideri, anche loro ripetevano "ho tanti desideri, non basta un elenco!" Nessuno riusciva a pronunciarne almeno uno ben definito, preciso chiaro. Confusione e negazione si accavallavano con la rinuncia pessimistica "a che serve?". Ormai adulti, arresi alla vita fatta di insuccessi, di paure e colpe irrazionali, schiacciati dall'adeguamento ai limiti ambientali, per timore della solitudine, non osavano più avere desideri ben definiti. Erano così numerosi, i desideri, che si confondevano e si negavano reciprocamente al punto da non poterli enumerare.Notai tra gli amici, parenti, pazienti e allievi, che si può giungere ad ammalarsi, a vivere in situazioni indigenti, a perdere il lavoro e l'amore, pur di conformarsi ai limiti del proprio ambiente attuale e di provenienza. La paura della solitudine è sempre accompagnata da un profondo senso di colpa; ogni qualvolta l'essere umano sente di possedere un "quid" che lo differenzia dagli altri teme di perderne l'affetto. Talvolta il superdotato ricorre all'autopunizione o con la malattia o con l'autolimitazione delle proprie capacità e preferisce essere circondato dalla compassione piuttosto che dall'invidia. Il meno dotato fa degli sforzi disumani per raggiungere ed eguagliare gli altri, oppure rinuncia, si isola, peggiora sempre più sé stesso per tiranneggiare o colpevolizzare il prossimo. Si protegge dalla sua inferiorità, strutturando meccanismi di difesa autodistruttivi e distruttivi, autolimitanti e limitanti, arroganti e svalutanti. Il circolo vizioso collettivo è una continua reciproca identificazione e proiezione dell'aggressore limitante, colpevolizzante che minaccia l'emarginazione, la solitudine, l'isolamento. Per paura della solitudine cediamo i nostri averi, per timore dell'emarginazione subiamo umiliazioni, tradimenti, prevaricazioni, limitiamo la nostra libertà, la costruttività, la gioia di vivere, il piacere di affermare il diritto di migliorare la qualità della vita. Nel seminario Il peso dei limiti familiari, si evidenziava quanto le origini storiche delle nostre famiglie inconsciamente limitano la propria espansione; l'identificazione con la povertà economica e culturale procura colpa di emergere e differenziarsi, mobilita la paura della solitudine. La differenziazione dalle proprie origini provoca un senso di isolamento emotivo profondo, accompagnato da sentimenti inconsci di autopunizione. L'inconsapevolezza di tanto disagio interiore è lo stimolo inconscio che rende l'individuo ammalato, disoccupato, sfortunato, povero o mediocre. Ogni potenziale costruttivo viene annichilito dalla colpa di essere diverso dalla propria famiglia originaria. La storia personale attuale, talvolta è di poco peso rispetto a quella delle proprie origini. Ma qual'è la matrice più profonda che non permette all'individuo di differenziarsi costruttivamente senza ricorrere ad autopunizioni? Nei seminari sulla Paura della solitudine si manifesta il terrore emozionale che prova il neonato quando non si sente guardato, accolto, amato, sostenuto e compreso nei suoi bisogni. La disperazione, il senso di perdita di sé stessi, è tale che si attua il tentativo di autodistruggersi. La mancanza di empatia, come la mancanza della presenza concreta della madre, provoca un forte desiderio di morte. Il bambino esiste solo in funzione dell'affettuosa presenza materna. Una madre depressa o ansiosa, anche se è presente, non riesce, suo malgrado, a far arrivare al figlio il proprio amore partecipe; il senso di estraneità psicologica, tipica del depresso, fallisce nel contatto, la presenza materiale non corrisponde alla presenza emotiva. L'emozione è assente, è annichilita da un dolore ed un senso di solitudine pervasa. Questo tipo di madre non è da condannare, è solo da comprendere, dona sé stessa così come può. Anche lei avrebbe bisogno di un affetto empatico, di un sostegno consistente dal proprio partner, il quale, molto probabilmente, anche lui ha vissuto un'infanzia senza quell'amore che gli serviva. Sono questi i genitori che, a loro volta, sono stati neonati che non hanno ricevuto affetto empatico, che non si sono sentiti pienamente amati e che non hanno ricevuto il giusto sostegno per poter crescere pieni di fiducia in sé, capaci di donarsi e di sentire la vera necessità altrui soggettiva e individuale. La capacità di percepire a livello inconscio la comunicazione e la richiesta che il bambino esprime attraverso il pianto o attraverso il movimento corporeo rimane intatta nell'adulto che è cresciuto attraverso l'amore di cui aveva bisogno, che non ha dovuto ricorrere a difese di sopravvivenza. Nella coazione a ripetere un destino inesorabile, diveniamo sempre più infelici ed ammalati, vittime di comportamenti distruttivi come quelli che si rivelano in genere negli omicidi, nei suicidi, furti, droga eccS Diveniamo cittadini mediocri, qualunquisti, la cui vita è vissuta nell'infelicità, nella prevaricazione e manipolazione, dove i sentimenti non trovano più spazio perché bloccati in una forte corazza corporea. Il dolore, la rabbia, la paura, il senso di impotenza che il neonato inibisce per sopravvivere restano incastonati nei muscoli, tanto da non permettere un buon contatto con le proprie emozioni. Ne risulta una illusoria armonica comunicazione col mondo esterno, su cui si proiettano tutte le pulsioni primarie congelate. Sono proprio questi blocchi primari che nel tempo si manifestano come disarmonie corporee e psicologiche: piedi piatti, scifosi, lordosi, obesità, oppure incapacità di apprendimento; disturbi del comportamento e dell'affettività, malattie organiche più o meno gravi, depressioni, nevrosi d'ansia, psicosi. La patologia è più o meno grave a seconda della serietà dell'arresto emozionale. Nello sforzo di adeguarsi sempre più alle regole familiari e collettive, l'individuo diviene così scarsamente centrato e focalizzato che perde tutta la naturale costruttività creativa. Nel perdere sé stesso nel continuo freno emozionale c'è una negazione della propria energia vitale, della propria salute, dei propri potenziali e di tutta la fortuna che la vita può offrire quando le permettiamo di venirci incontro. Descrizione dei blocchiLa paura, la rabbia e il dolore si bloccano a livello:
Il Lavoro BioenergeticoPer togliere tutte le stasi di energia che si vengono a formare dalla nascita in poi, durante le vicissitudini traumatiche, è indispensabile operare sui due versanti: 1) quello inconscio attraverso il lavoro onirico 2) quello corporeo attraverso la respirazione, il grounding, l'espressione vocale delle proprie emozioni e il lavoro sugli occhi. Nella sintonia di entrambi i versanti, inconscio e corporeo, emerge, man mano che si procede, la rabbia, il dolore profondo della prima infanzia, i ricordi di un passato incombente in tutta la sua drammaticità, condizionante e limitante, capace di trattenere il corpo in una corazza muscolare dove è rimasta impressa tutta la storia personale e ancestrale. Nell'entrare sempre più a fondo nell'intima essenza, si giunge a sentire anche la paura di essere travolti dalla forza delle personali emozioni. La paura della propria rabbia distruttiva, del dolore inflazionante, lo sgomento nello scoprire che il timore di essere rifiutati ed abbandonati non è che l'individuale desiderio di abbandoare e di rifiutare tutti coloro che hanno abusato con la non comprensione, col non rispetto o l'indifferenza. Nel sentire fino in fondo la forza e l'appartenenza alle molteplici emozioni, scoprire il timore di riconoscerle e farle emergere aiuta ad avvertire che si è giunti a trattenere, negare, reprimere, stravolgere i reali sentimenti pur di non restare soli. Perché la paura della solitudineIl neonato abbandonato a sé stesso muore, il bambino che sa già camminare (come si può constatare nei paesi del terzo mondo) riesce a sopravvivere. Nonostante questa razionale consapevolezza, l'essere umano è capace di perdere la propria istintività pur di non essere emarginato. Nella solitudine si è costretti a percepire quanto la propria rabbia distruttiva verso il prossimo è potente, quanto si vorrebbe avere il potere di rifiutare tutti coloro che non ci hanno amato e rispettato, quanto dolore e disperazione si nasconde dietro queste emozioni. Accettare di avere dentro di sé tanta distruttività, desiderio di prevaricazione e dolore è sconvolgente. Chi sin da bambino si è imposto la bontà, la sottomissione, la menzogna, la mediocrità, pur di non rimanere solo, non sopporta di nascondere in sé tanto turbamento. Solo se si fa emergere questa parte "ombra" appare la vera luce, la forza, la reale istintività. Il continuo lavoro tra corpo e inconscio per decondizionarsi e decodificarsi dai limiti familiari e collettivi è simile a quello che compie quotidianamente il giardiniere che vuole mantenere integro il prato all'inglese, deve costantemente estirpare le erbacce per evitare che invadano e distruggano la delicata erbetta. Il non amato deve estirpare fino al midollo osseo ogni comunicazione limitante, deve sentire tutta la sua rabbia, il suo dolore, il suo desiderio di uccidere e rifiutare. La costruttivitàNell'individuo liberato e depurato da un passato frustrante, sia per comunicazioni esterne, che per forti emozioni interne, il timore della solitudine va scemando. Nel rimanere soli si sente tutta la bellezza di una creatività costruttiva che produce idee e azioni feconde. Incontrare gli stimoli esterni che rinnovano antiche emozioni negative non è più così sconvolgente, anzi è vivificante, si ha così l'occasione di aprire un'altra porta che era rimasta chiusa, si può scoprire qualcosa di nuovo, si può fare pulizia anche in quello spazio. Le stanze del nostro inconscio rimaste abbandonate, con tesori nascosti sotto le ragnatele e la polvere, si aprono senza timore. Nel sentire tutte le pulsioni del proprio corpo e i propri piedi ben radicati in terra, si avverte di volta in volta il piacere di esistere nel buio, nell'alba, nel giorno, nel tramonto. I passaggi di luce sfumati emergono man mano che emergono le antiche emozioni e nell'aprirsi felici verso il mondo. Lentamente l'inconscio diviene calamita di situazioni gratificanti; non c'è più il desiderio inconscio di confrontarsi all'esterno col terribile interlocutore interno pronto a distruggere, limitare, invidiare, punire; l'incontro avviene con la nostra parte ormai depurata. L'essenza costruttiva di una solitudine feconda si fa spazio inaspettatamente e gradualmente, di pari passo allo sfogo delle emozioni antiche, rivissute nel corpo e rielaborate attraverso i sogni. La respirazione diviene sempre più profonda, l'espressione del viso più viva, i piedi sono sempre più radicati nella terra, tutto il corpo è sempre più vibrante e sano. Di giorno in giorno il recupero della vivacità feconda dell'infanzia emerge in sintonia all'adolescente romantico, al genitore saggio protettivo, costruisce una ritmicamente l'orchestrina di un felice adulto. Adulto che nei momenti di solitudine sente la musicalità interna come musa ispiratrice del pensiero, dell'azione e del gesto costruttivo. |
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